La famiglia Nardis (o Nardi, o de Nardis) è tra le famiglie che si insediarono all’Aquila al tempo della fondazione. Si stabilirono nel quarto di San Marciano, in particolare nella via di San Marciano. Per la tendenza di edificare case e palazzi vicini tra di loro, nel XVI-XVII secolo tutto il primo tratto della strada vedeva le residenze dei vari rami della famiglia. È in questo contesto che nasce l’Oratorio di Sant’Antonio dei Cavalieri de Nardis. Nel 1646, a seguito di una pestilenza, si diffuse la credenza che un affresco, raffigurante Sant’Antonio da Padova, dipinto sul muro del palazzo di Ottavio de Nardis, fosse miracoloso. Ottavio, allora, coinvolgendo altri membri della famiglia e della nobiltà aquilana in una confraternita familiare, intraprese la costruzione di quello che è oggi, indubbiamente, uno dei gioielli del barocco abruzzese. Vi lavorarono maestranze e artisti da tutta Italia: dallo scultore e architetto lombardo Ercole Ferrata, che lavorò all’Oratorio subito prima di raggiungere Bernini a Roma, al “pittore gentiluomo” napoletano Giacomo Farelli, al cortonese Lorenzo Berrettini, nipote di Pietro da Cortona, al veneto Vincenzo Damini, all’Aquilano (ma originario del Nord Italia) Giulio Cesare Bedeschini. Notevoli sono anche i realizzatori delle opere di arte applicata: gli stuccatori Ferradini e Gianni, oltre che l’ebanista, autore dello straordinario soffitto, Ferdinando Mosca da Pescocostanzo. Ospita inoltre due capolavori del loro genere: lo straordinario paliotto della bottega dei Grue, opus magnum della ceramica di Castelli del ‘600, e l’organo di Luca Neri tra i più begli organi barocchi d’Italia che si siano conservati. Mentre l’Oratorio mostra unità estetica e stilistica pur nello snodarsi di secoli, il Palazzo Nardis, che fronteggia l’Oratorio, rivela nelle sue architetture la complessità della sua storia. La facciata corta su via dell’Arcivescovado ne è un palinsesto: gli archi gotici, ogivali e dentellati delle case-bottega medievali, segnano il piano terra; il primo piano invece, nelle sue linee rinascimentali mostra però l’opulenta scelta di un paramento di pietra rossa, che, alternata al bianco, segna anche le finestre. Ma perché quella casa si trasformasse in un palazzo, venendo unita ad altre tre case vicine, bisogna attendere il Settecento, probabilmente nella ricostruzione dal terremoto del 1703. Invece, per chi varchi il grande portone, si riveleranno le vesti ottocentesche di un grande scalone doppio – il più grande dell’Aquila – un cortile porticato e terrazzo di gusto classico e una lunga teoria di camere e saloni affrescati e decorati con sontuosa leziosità, già quasi presaga della “Belle Époque”.


